La bibbia – per secoli rimasta segreta – per gli attori del Nō, fin da quando Zeami Motokiyo perfezionò il genere drammatico e scrisse per esso numerose note. Il Nō è una forma drammatica composta in sostanza da mimo o recitazione, canto poetico e musica, eseguiti su un palcoscenico del tutto disadorno, a eccezione di quattro colonne e la raffigurazione di un grande albero di pino sullo sfondo. Per alcuni drammi possono esservi dei semplici arredi scenici, ridotti agli elementi essenziali e raffinati al punto da costituire mere suggestioni. Tale minimizzazione costituisce l’essenza della stessa rappresentazione drammatica. Tutte le complicazioni non necessarie vengono eliminate e la presenza principale di fronte allo spettatore è una non-presenza, uno spazio e un tempo vuoti. È per questo che qualsiasi parola, movimento o suono – per quanto lieve – assume una rilevanza straordinaria. I samurai di alto rango praticavano la recitazione, la danza e il canto del Nō con sincero entusiasmo, poiché lo collegavano in parte alla perfezione di una cultura superiore e in parte allo studio del Buddhismo Zen, e talvolta perfino all’arte della spada. Ancor oggi, il Fūshikaden viene letto con molta assiduità, confermando con la sua stessa brevità l’affermazione secondo cui “lo studio del Nō è in realtà lo studio della cultura giapponese in generale”.