"Di Morte Non si Muore": se il titolo del libro vi pare provocatorio, beh, forse lo è. E forse no. L’occidente, infatti, ha spesso descritto il passaggio dalla vita alla morte come un interruttore che passa da “acceso” a “spento” appena il cuore smette di battere e un esame degli strati più superficiali del cervello mostra che non vi è più attività. Un attimo prima sei vivo, un attimo dopo sei morto. Ma queste due etichette sono incapaci di cogliere il complesso processo descritto da molte tradizioni tanatologiche planetarie, prima fra tutte quella tibetana, in cui l’Autrice si è specializzata. Un processo complesso, come nel tukdam, dove la vita nel corpo continua “al minimo” anche dopo la morte clinica... A seguito di un’esistenza di pratica meditativa, la meditazione si prolunga durante il processo di morte e anche dopo: il corpo del “defunto” mostra allora una serie di segni del permanere della coscienza in esso, come assenza di rigidità o decomposizione anche a temperature ambientali elevate... Sapevate che un tukdam può sfociare nella riduzione parziale del corpo, che diventa non più lungo di un avambraccio?