Federico De Roberto
Federico De Roberto (Napoli 1861 - Catania, 1927) nacque da padre napoletano, ufficiale di Stato Maggiore di Francesco II e da madre catanese, donna Marianna degli Asmundo, di piccolanobiltà trapanese. Federico De Roberto assorbì profondamente i disagi della vita isolana postrisorgimentale ed ebbe come amici e maestri Verga e Capuana. Studiò ed ottenne il diploma di ragioniere all’istituto tecnico di Catania, ma la sua attenzione fu precocemente rivolta alla conoscenza del latino e dei classici. Visse a Firenze e Milano, dove lavorò come critico letterario per il «Corriere delle Sera», venendo oltremodo a contatto, pur senza inserirvisi, con il movimento degli Scapigliati. A Catania, tuttavia, cui De Roberto dedicò una monografia nel 1907 e nella quale conobbe Paul Bourget, rappresentò lo sfondo decisivo per la sua formazione e per i temi che egli vi cercò e vi trovò.
Una spiccata propensione alla critica lo condusse ben presto ad elaborare saggi sulla letteratura naturalista e verista, su Zola, Flaubert, Capuana e Matilde Serao, che sono ora racchiusi in Arabeschi (1883). S’impegnò contemporaneamente nella stesura di racconti che conservano l’impronta della lezione verghiana, pur volgendosi ad indagini più inquiete e sottili. Testimonianza di questa attività sono le raccolte dai titoli: La sorte (1887), Documenti umani (1888), Processi verbali (1890), L’albero della scienza (1890).
Nonostante la forte avversione dei critici, De Roberto continuò a scrivere e pubblicare molto. Temi sentimentali ed erotici, compiacimenti ed indagini autobiografiche e, ancora, il gusto delle analisi psicologiche di personaggi del mondo politico ed aristocratico, fanno dell’autore un punto di riferimento all’interno del più ampio quadro verista.
In Ermanno Reali (1889), romanzo piuttosto esteso e ricco di spunti autobiografici, così come pure in Spasimo, altra opera di simile stampo (1897), i protagonisti mettono in scena un’inquietudine ed un pessimismo che li ha fatti avvicinare al Corrado Silla e al Daniele Cortis di Fogazzaro. L’interesse positivistico e zoliano per la storia, vista negli intrecci esistenziali di una famiglia che eredita e tramanda, è all’origine della scelta del più felice dei suoi temi e della più famosa della sue opere: I viceré (1894).
Se l'itinerario stilistico di Federico De Roberto può considerarsi inscritto sull’asse verismo-naturalismo-psicologismo, I viceré è il risultato dell’elaborazione dei vari passaggi che lo hanno svincolato da ogni precedente “ismo“. Il ciclo degli Uzeda, la grande dinastia catanese discendente dai viceré spagnoli, le cui imprese popolano le pagine de I viceré, s’inizia già ne L’illusione (1891) con la particolare raffigurazione di un inquieto personaggio femminile, Teresa Uzeda Duffredi di Casaura; ne L’imperio (1929, postumo), poi, viene seguita la carriera politica di Consalvo Uzeda, già noto personaggio de I vicerè.
Per una certa affinità di soggetto storico, incarnato dal fallimento del risorgimento, Il Gattopardo ha ricondotto sguardi e attenzioni su I viceré di De Roberto. Dopo questo romanzo che piacque a Pirandello, Capuana e più tardi a Brancati (mentre Croce lo stroncò impietosamente in due paginette di un fascicolo della «Critica» (1939) e ne «La letteratura della nuova Italia»), De Roberto non seppe continuare a svolgere quei motivi tanto fortunati e rientroòa Catania, per assistere la madre.
Nel lungo soggiorno milanese intraprese anche una segreta relazione amorosa con Ernesta Valle, gentildonna residente a Milano, assidua frequentatrice di elitari salotti , moglie dell'avvocato siciliano Guido Ribera. Fra sotterfugi, stratagemmi, astuzie, la corrispondenza si snoda dal 1897, periodo in cui iniziò la sua collaborazione al Corriere della Sera, fino al 1916: il prolifico carteggio permette di seguire passo passo le tappe dell'itinerario di De Roberto, negli anni più tormentati della stagione milanese, svelando progetti e successi da una parte e inquietudini e sconfitte dall'altra. Per non destare sospetti, sovente spediva ad Ernesta, ribattezzata Renata perché "rinata" all'amore, un giornale che nascondeva la lettera.
Federico De Roberto fu stroncato dalla flebite il 26 luglio 1927, a poco più di sessantasei anni proprio mentre si trovava sulla porta di casa, a Catania. La sua scomparsa, però, come forse la sua vita, passò quasi inosservata nell’ambiente culturale nazionale, poichè il 27 luglio, appena un giorno dopo, morì a Napoli la più famosa, perché più popolare, Matilde Serao.
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