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Nel Trattato di ateologia ha demolito i dogmi delle religioni monoteiste. Nella Teoria del corpo amoroso ha affermato la necessità di un edonismo gioioso e vitale. Nella Scultura di sé ha rivendicato l’importanza di una morale laica. Nella Politica del ribelle Onfray riparte all’attacco, con la consueta vis polemica, dei valori della società occidentale con una nuova arma: l’opposizione al potere costituito. L’elogio della sovversione potrebbe apparire quasi scontato in un pensatore come lui, sempre controcorrente, ma qui si tratta di una sincera apologia della disubbidienza, che per Onfray è una forza insita nell’uomo, un insopprimibile desiderio di rivolta che si fa più impellente in un’era dominata dalla violenza come quella in cui viviamo. Guardando all’ultima grande esperienza di lotta collettiva che l’Europa ricordi, il ’68, ci invita a recuperare lo spirito del Maggio francese per abbattere «i bastioni del giornalismo, della televisione, delle gallerie d’arte, dell’editoria». Ma si ripropone anche di perfezionare gli ideali e gli obiettivi della protesta d’allora alla luce di una revisione del concetto di anarchia, finalmente realizzabile ora che i diktat dalle grandi ideologie sono venuti a cadere. In questa fase storica c’è dunque spazio per l’elaborazione di «una teoria mistica di sinistra», che si oppone al dominio dilagante del mercato per restituire un po’ di felicità a un mondo sottomesso all’economia.
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