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Esiste una Via che permetta all’uomo di superare i limiti della propria natura? Di andare oltre se stesso?”. La risposta è il Bushido, la Via del samurai, il loro codice di condotta, la cui origine risale al VII secolo a.C., poi raccolto e accresciuto in diverse fasi storiche a partire dal 1100. Nella vittoria sulla paura della morte, raggiunta attraverso una costante speculazione sulla fine, sull’impermanenza dell’esistenza e sull’importanza del vivere nel momento presente emerge l’attualità e l’universalità dello spirito samurai. La persona fisica che combatte, il bushi, attraverso un cammino, un viaggio, un percorso, un’arte, decide di alienarsi dalla sua condizione di uomo, per trascendere a un servizio, che lo porterà al di là del concetto stesso di lotta, dove il sacrificio di sé eleva la mera professione.
L’apprendimento, la formazione teorica e la filosofia risultano indissolubilmente connesse a forme di insegnamento buddhiste, scintoiste e Zen fondate sul rapporto maestro-allievo, anziano-giovane, o a esperienze di vita, in cui l’emulazione e la pratica sono incoraggiate e diventano fonte di stimolo a migliorare se stessi. L’unico scopo della vita di un samurai è quello di prepararsi alla guerra. O meglio, alla morte. Perché un libro sui samurai, in questi tempi così terribili? Perché, nella trasmissione della loro saggezza, i samurai ci insegnano a vivere nel momento presente, a sconfiggere la paura e a non esserne più schiavi. La Via del samurai coniuga forza e saggezza. Il maestro Taisen Deshimaru in un suo insegnamento orale disse: “Com’è noto, le possibilità del nostro corpo e della nostra mente sono limitate: è la sorte della condizione umana.
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