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Il direttore della più prestigiosa orchestra di Mosca viene licenziato per le sue posizioni dissidenti nei confronti dei capi dell’Unione Sovietica. Trent'anni dopo ha l'occasione di rifarsi presentandosi al teatro Chatelet di Parigi riunendo tutti i vecchi musicisti, ingaggiando la violinista più popolare del momento e camuffando l'orchestra ufficiale russa del Bolshoi. Dopo l'enorme successo di Train de Vie, il regista franco-romeno ritorna alla regia per raccontare l'incontro fra due culture e la maestosità della musica attraverso la storia della rivincita e della realizzazione spirituale di uomo umiliato e di una ragazza nel pieno della propria carriera musicale.
TRAILER DEL FILM:
Intervista con il regista, Radu Mihaileanu
Come è nato il progetto?
Sono stato contattato da un produttore che mi ha proposto un copione scritto da due giovani autori: era la storia di una falsa orchestra del Bolshoi che approdava a Parigi. L'idea di base mi piaceva molto, il resto meno. Così ho chiesto al produttore se potevo sviluppare una mia sceneggiatura a partire dal soggetto iniziale e mi ha dato il suo consenso.
Il film parte subito su una nota ironica con la manifestazione degli ex comunisti che in realtà sono delle comparse…
Quando sono andato in Russia con Alain-Michel Blanc, siamo rimasti colpiti da questa manifestazione che si svolge tutte le domeniche mattina a Mosca e che cristallizza il paradosso della nuova società russa: da un lato, gli ex comunisti pervasi di nostalgia, i venditori di medaglie che smerciano la loro mercanzia a manifestanti e turisti e, dall'altro, i nuovi capitalisti duri e puri. In mezzo, c'è una grande quantità di persone, di cui alcune sono un po' smarrite. Ho trovato questo contrasto tragico e comico al tempo stesso.
Attraverso la metafora del concerto, il film parla dei rapporti fondamentali tra il singolo e la collettività.
Durante il missaggio ho capito che questa metafora è insita anche nella scelta stessa del concerto che occupa la parte finale del film, il Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Secondo me, alla base dell'attuale crisi, c'è proprio il rapporto tra il singolo e la collettività. Oggi constatiamo che abbiamo raggiunto il massimo grado di individualismo e che gli esseri umani si sentono in una situazione precaria rispetto al mondo: vorrebbero mantenere i diritti fondamentali dell'individuo, tornando tuttavia a una società più solidale. E mi sono reso conto che quel concerto di Čajkovskij non potrebbe essere armonioso se il violino e l'orchestra non fossero complementari. Se il violino non suona bene, l'orchestra va per conto suo e viceversa, i due elementi sono indissociabili. La crisi dimostra con forza l'importanza di questo binomio: il legame tra individuo e collettività deve essere molto solido e, per trovare l'armonia e il benessere, bisogna cercare di suonare il più possibile all'unisono.
Quest'armonia si forgia anche attraverso gli scambi tra russi, gitani e francesi che hanno tutti una visione del mondo molto diversa …
È quello che oggi si chiama "dialogo interculturale" : in ogni società, compresa quella francese, grazie alle ondate migratorie, è molto presente la mescolanza delle culture, che arrichisce tutti, malgrado le difficoltà che comporta. È il nostro mondo di oggi e lo sarà ancora di più domani. Ed è quello che descrive il film, quando un gruppo di semi-barboni russi, gitani ed ebrei, originari di Mosca, approda a Parigi: è l'incontro tra una cultura slavo-orientale e una cultura occidentale, ricca e cartesiana. All'inizio lo shock è esplosivo: i "barbari" dell'est, di cui io faccio parte, arrivano nel paese dei "civilizzati", che temono che i loro diritti acquisiti siano minacciati e che le regole che hanno definito non vengano rispettate. Ma alla fine, malgrado le tensioni, da questo incontro scaturiranno bellezza e luce. E il concerto esprime l'armonia che nasce da questo scontro tra culture.
Appunto, come si può definire «l'armonia suprema» di cui spesso parla Andreï nel film?
È il sogno che vogliono realizzare i miei personaggi russi che sono stati messi al bando dalla società. In qualche momento della nostra vita, siamo tutti stati messi alla prova e "al tappeto", come si dice nel pugilato. È molto difficile rialzarsi ed è proprio questo che i miei personaggi tentano di fare. Cercano innanzitutto di ritrovare l'autostima e poi di rimettersi in piedi e di tornare a essere degli esseri umani con una dignità. Per ritrovare un'armonia suprema, anche solo per un secondo, per il tempo di un concerto, e per dimostrare a se stessi che hanno ancora la forza di sognare e di stare in piedi. È una piccola vittoria sulla morte, che ci spia da dietro le quinte. Sono interrogativi che possono riferirsi anche a chi non ha mai sofferto in modo tragico: sono capace di sognare, di desiderare di raggiungere "l'armonia suprema"? Sono in grado di cambiare?
Il modo in cui i russi si impadroniscono del francese è esilarante!
Anche in questo caso mi sono ispirato a un'esperienza personale. Quand'ero piccolo, ho imparato il francese con una signora di origine francese di circa 70 anni che aveva lasciato la Francia per seguire un rumeno di cui si era innamorata. Avendo lasciato il suo paese da molto tempo, si esprimeva in una lingua che non si parlava più in Francia. Quindi ho imparato un francese letterario e molto antiquato e, quando sono arrivato in Francia, anch'io ho usato gran parte delle espressioni arcaiche che usano i miei personaggi nel film. Ricordo, per esempio, di aver ringraziato una signora che mi aveva aiutato a ottenere il visto d'ingresso dicendole: "La bacio calorosamente"! E in effetti avevo letto in numerosi libri che il "baciamano" era un gesto alquanto rispettoso… I miei personaggi pensano di parlare un perfetto francese, ma in realtà risultano quasi incomprensibili: ho trovato in questa discrepanza un effetto comico molto efficace. È anche un modo per rendere omaggio a una generazione che ha adorato la cultura francese e che oggi sta scomparendo.
Eppure, ognuno dei protagonisti russi ha una conoscenza del francese che gli è propria.
Sì, ci sono tre registri linguistici differenti che ci hanno molto divertiti durante la fase della scrittura. Innanzitutto c'è Ivan, che pensa di padroneggiare meglio di tutti la lingua (evidentemente l'ha imparata con un'anziana signora francese negli anni '50) e compone delle frasi pompose: se la cava abbastanza bene, malgrado commetta numerosi errori di significato e di sintassi. Poi c'è Andreï, che parla un po' meno bene, ma conserva una certa preziosità arcaica, infarcendo le sue frasi di "non è così?" a ogni piè sospinto. E infine c'è Sacha, il suo miglior amico, che ha un vocabolario molto limitato e parla un francese maccheronico, aiutandosi con qualche parola russa.
Il film descrive il tipo di intellettuali e artisti che c'erano sotto Brežnev.
Anche se una leggera brezza di libertà si era messa a soffiare circa dieci anni prima della Perestrojka, il potere cercava ancora di imbavagliare gli intellettuali, dal momento che ogni regime totalitario ha paura che le opinioni degli intellettuali si propaghino tra le masse e che queste ultime si ribellino. Brežnev diffidava in particolare degli ebrei che spesso si erano espressi su questioni sensibili e avevano parenti all'estero in grado di diffondere le loro idee. È per questo che Brežnev ha scacciato i musicisti ebrei dall'orchestra del Bolchoj, insieme ai russi che li hanno difesi. Allo stesso modo, il regime temeva i gitani, e le minoranze in genere, che non si sommettevano alla sua autorità. Di fatto i gitani non hanno mai obbedito agli ordini in alcun paese: sono gli esseri umani più liberi della terra. Ho voluto descrivere tra le righe questa realtà. Per contro, ho cercato di mostrare che un gesto di per sé insignificante, come il licenziamento di un direttore d'orchestra e di alcuni musicisti ebrei, può generare un trauma terribile in tutta una generazione che può impiegare anche trent'anni a riprendersi. È il caso di molti destini spezzati di persone originarie dei paesi dell’Est.
Attraverso la questione della trasmissione, lei si interroga anche sul significato dei valori.
Ho la sensazione che a partire dalla fine del XX secolo non abbiamo prestato abbastanza attenzione a una delle conseguenze della diffusione e dello sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione: la nascita della virtualità. Secondo me, è stata la virtualità a provocare l'attuale crisi: abbiamo messo da parte i valori reali, il lavoro, l'incontro, il tempo, l'amicizia, l'amore, la conoscenza, e abbiamo adottato sempre di più i valori virtuali, i soldi, l'informazione, il ritmo frenetico, la comunicazione, l'acquisizione di strumenti. Ho l'impressione che oggi gli esseri umani abbiano voglia di recuperare i veri valori. Capiscono anche che nello scambio con l'Altro risiede la vera ricchezza e cercano di ristabilire un equilibrio nel rapporto individuo/comunità. In quest'ottica, il film racconta che senza l'amicizia e senza questo viaggio per incontrare un'altra cultura è impossibile raggiungere la felicità.
In lei si percepisce anche una volontà iconoclasta di sconvolgere le convenzioni.
Penso che la vita sia fatta sia di regole sia di momenti in cui è necessario sconvolgere le stesse regole per andare avanti e sperimentare nuovi territori. I miei personaggi, che sono in uno stato di disintegrazione a causa della perdita del lavoro e della stabilità e non hanno nulla più da perdere, non hanno altra scelta che tentare di arrangiarsi: sono quindi condannati a rinnovarsi e progredire. In condizioni simili, tutto è possibile, anche a costo di infrangere le leggi stabilite: si fabbricano da soli il passaporto, non vanno alle prove per dedicarsi a vari traffici, insomma, vivono di espedienti e si ingegnano per sopravvivere. Tutti i miei personaggi hanno una componente poetica, i piedi per terra e la testa tra le nuvole, perché io credo che non sia possibile separare del tutto realtà e fantasia.
Come sempre è ricorso ad attori di origini diverse.
Sì. Ci sono innanzitutto cinque straordinari attori russi che sono molto famosi nel loro paese. Sono rimasto colpito dalla loro capacità di esprimere al tempo stesso l'interiorità e l'esteriorità e di recitare con tutto il loro corpo. In più, ho avuto la fortuna di lavorare con attori francesi eccezionali. Ma, soprattutto, è stato meraviglioso assistere all'incontro tra queste due scuole che a poco a poco sono arrivate a comprendersi. E non dimentico i miei amici attori rumeni! Insomma, è stato un melting pot incredibile.
Come ha diretto gli attori?
Ho avuto bisogno di un periodo di adattamento che si è svolto durante la preparazione, visto che io provo molto prima di girare. In particolare, all'inizio, c'è stato un piccolo braccio di ferro con i russi, che sono arrivati molto sicuri della loro superiorità e della loro incredibile tradizione e che, in pratica, volevano che io mi sottomettessi alla loro volontà. Era un gioco, un modo per mettermi alla prova. Hanno capito in fretta che sapevo esattamente quello che volevo, che anch'io venivo dall’Est e che la mia presenza aveva il solo scopo di aiutarli a sublimarsi. Da quel momento, hanno collaborato in modo molto costruttivo e sono stati fantastici. La seconda prova di forza c'è stata nell'incontro tra François Berléand e i tre attori russi che volevano avere una sorta di ascendente su di lui. Inizialmente disorientato, François si è ripreso in fretta e, con umorismo, ha ben dimostrato loro la sua tempra di grande attore. È stato brillante, folgorante e li ha lasciati di stucco. Lo hanno subito rispettato, così come François ha rispettato loro.
E Mélanie Laurent ?
L'avevo adorata in tutti i film che aveva interpretato prima, in particolare in quello di Philippe Lioret. Ma credo che abbia avuto il suo primo grande ruolo di donna in questo film. Abbiamo cercato di costruire un personaggio di donna realmente emancipata. Ci tengo a ringraziarla per tutto quello che mi ha dato, perché è stata semplicemente sublime. E attenzione: ha la stoffa della star!
Come si sono svolte le riprese?
Abbiamo girato per tre settimane circa in Romania, dove abbiamo ricostruito quasi tutta la parte russa del film, visto che è molto difficile girare in Russia. Ciò nonostante, abbiamo finito col girare due giorni a Mosca, perché avevamo bisogno di alcune riprese in esterni della città e della Piazza Rossa. A questo proposito, abbiamo vissuto un'avventura degna di un film, visto che alla vigilia delle riprese non avevamo ancora l'autorizzazione malgrado la stessimo sollecitando da sei mesi. Per miracolo, grazie all'intervento di Alexei Guskov (Andreï), la situazione si è sbloccata! E abbiamo avuto la Piazza Rossa tutta per noi, una situazione davvero insperata. Ne abbiamo riso insieme, fingendo di essere la troupe di un film di James Bond.
Le riprese del concerto vero e proprio sono di un virtuosismo impressionante. Come si è preparato?
È stato un incubo durato sei mesi! Avevo una paura terribile di quella scena perché il film si chiude sul concerto che rimane quindi impresso nella mente dello spettatore. Non potevo permettermi di sbagliare quella sequenza per nessun motivo, senza contare che non avevo mai filmato un concerto di musica classica. Ho iniziato guardando tutti i film sulla musica e diversi DVD di registrazione di concerti classici, rock, etc. Così facendo ho imparato molto: qual è il "linguaggio" e l'importanza di ciascun strumento, in quale momento e in quale modo bisogna filmarlo affinché sia drammaticamente efficace. La sfida era tentare di essere un po' più spettacolare e moderno rispetto a una registrazione, pur restando fedele alla drammaturgia e ai personaggi e senza strafare. Per rendere gli attori dei musicisti credibili, abbiamo in seguito lavorato con alcuni istruttori. Abbiamo preparato la scena finale inquadratura per inquadratura. Avevamo tutti una serie di cartelli che indicavano il ruolo di ciascuno, sempre in funzione dei tempi musicali. Al momento delle riprese, abbiamo lavorato con tre macchine da presa che dovevano inquadrare ciascuna un musicista o una sezione. È stato un lavoro difficilissimo, a maggior ragione perché avevamo a disposizione solo quattro giorni e dovevamo proteggere il più possibile gli attori da tutta quella tensione. Infine, durante le riprese, ho dovuto tener conto dei flashback che avrei dovuto inserire in fase di montaggio, calcolandoli quasi al secondo, anche in funzione delle sonorità musicali.
È la seconda volta che collabora con il compositore Armand Amar.
Secondo me, la musica è realmente l'anima di un film: ne costituisce tutta la parte invisibile, quella che non viene svelata dalle immagini, è la sua storia segreta. In Le Concert, c'era, da un lato, la musica classica esistente che doveva essere adattata alle esigenze del film e, dall'altro, la musica originale. Come me, Armand è curioso delle altre culture: sentivo che dovevamo assolutamente fare emergere dalla partitura lo spirito slavo. Abbiamo ascoltato molta musica russa, liturgica, sovietica e contemporanea. Nella versione definitiva, la colonna sonora originale comprende musica sinfonica, dei cori che traducono l'ampiezza del tempo, del rapporto tra presente e passato, musica moderna e musica gitana. Del resto, il ritmo stesso del film è musicale. Spero che Le Concert si rivolga alla musica che ognuno di noi porta dentro di sé. E che i ragazzi non abbiano più timore della musica classica, pur continuando ad amare tutti gli altri generi musicali.
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