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L’isolamento che circonda colui che sta per morire non è solo un fenomeno psicologico ma è soprattutto una conseguenza del nostro modo di organizzare il momento della morte. Questo contesto configura un ambito assolutamente inedito eppure cruciale in cui collocare l’azione di un servizio sociale che operi per ricucire la frattura relazionale tra il paziente, i suoi cari e il sistema sanitario. In quella frattura si consumano, infatti, decisioni di straordinaria densità sul fine vita. Di questo non si discute né si pubblica. Queste pagine, le prime in assoluto su un tema ormai evitato dall’ipocrisia ed eluso dalle polemiche, sono scritte con lucidità e coraggio, competenza e partecipazione.
Senza quella relazione risanata, infatti, non è possibile recuperare fino in fondo il senso profondo della compassione dalla quale può maturare la decisione sul momento ultimo. Nessuna norma giuridica, infatti, può sostituire il valore etico di un accompagnamento sensibile e umano che consenta a ciascuno di aspirare a congedarsi con dignità.
"Agisci in modo da favorire la vita" (A. Schweitzer). Questa citazione mi ha colpita sin da ragazza e mi ha accompagnato nel percorso dei miei studi sociali e del mio divenire adulta. La possiamo definire l'imperativo categorico dei nostri tempi perché esprime rispetto ed ha un senso più ampio di quello che gli viene abitualmente attribuito nella nostra lingua. Esprime partecipazione vissuta ed esperienza di natura mistica della vita alla quale si partecipa; implica non solo il rispetto timido e per così dire passivo della vita, ma un atteggiamento attivo che si manifesta nell'impegno per promuoverla e difenderla... (Dall'introduzione del libro)
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