«Non siamo migliori di altri» ripete Enzo Bianchi, fondatore e priore di Bose, ai fratelli e alle sorelle della sua comunità monastica e anche ai numerosi visitatori che la raggiungono nella speranza di trovare risposte definitive ai loro dubbi di credenti. Fratello Enzo dice che in realtà il dubbio non è così lontano dalla fede, qualche volta, anzi, ne è inseparabile, e la scelta di venire in un monastero è dettata proprio dalla mancanza di certezze e dall’esigenza di cercare se stessi e interrogarsi sul proprio futuro Enzo Bianchi sentì questa necessità a metà degli anni ’60, quando abbandonò Torino e una carriera promettente per ritirarsi in una cascina abbandonata vicino a Biella. Dopo un periodo di solitudine venne raggiunto da alcuni amici – tra cui una donna e un pastore protestante, che garantirono da subito un’impronta mista ed ecumenica a questa avventura – e insieme intrapresero un percorso esistenziale all’insegna del celibato, della preghiera e del lavoro, ispirandosi alle regole dei grandi padri del monachesimo occidentale (san Benedetto) e orientale (san Pacomio e san Basilio).Di questo gruppo di cristiani impegnati in un intenso e originale percorso di fede, Robert Masson ci racconta la storia, i pensieri, le speranze, le difficoltà e i successi; e ci descrive la vita di ogni giorno, scandita dalle numerose attività (la cura dell’orto, i laboratori di ceramica, di icone, di falegnameria, la casa editrice) e dalla preghiera. Secondo le parole di un patriarca d’Oriente, «in una cristianità stanca, Bose offre alle Chiese la luce di una nuova alba».