Questi sessantuno sonetti, che costituiscono la prima parte del più intenso canzoniere dell’Ottocento inglese, celebrano la divinizzazione dell’Eros. La loro materia spesso torbidamente sensuale li ha esposti agli strali di una critica acida e conformista. Perché, come i celebri versi di Charles Baudelaire, anche questi sonetti sono veri e propri ‘fiori del male’, nati dall’esplorazione dell’interiorità e delle sue ‘perversioni’, da una disperazione esistenziale, magari eccitata dall’overdose di assenzio, hascish o laudano: un’esperienza che per Rossetti e Baudelaire non è moda, ma una sfida ineluttabile e mortale.