Controcorrente rispetto agli orientamenti di pensiero più attuali in tema di lavoro - sono discusse in particolare in questo libro le tesi di André Gorz e di Guy Aznar, e più in generale le posizioni di coloro i quali, sulle orme di Geremy Rifkin, salutano come una liberazione la cosiddetta "fine del lavoro" - Daniel Mothé contesta la tendenza a fare l'apologia del tempo libero.
Egli dimostra che i vantaggi che gli si attribuiscono rispetto alla vecchia organizzazione dell'era fordista, con i suoi ritmi dettati dalla catena di montaggio e i suoi tempi cronometrati, non compensano l'azione socializzatrice del lavoro. Tanto più che, nelle condizioni attuali, il tempo libero si degrada in tempo di consumo, trasformandosi in un ulteriore fattore d'ineguaglianza (il tempo libero non è la stessa cosa per chi dispone di un reddito confortevole e per un disoccupato o per un pensionato dalle risorse scarse).
Si tratti degli apologeti di una società in cui il tempo di lavoro sia massicciamente ridotto o di coloro che vantano le virtù di una nuova società degli svaghi , le argomentazioni correnti sono spietatamente ricondotte alla dura realtà della possibilità o impossibilità di consumare.