Era il 1995 quando il vicepresidente della Banca mondiale espresse una previsione inquietante: "Se le guerre di questo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del secolo prossimo avranno come oggetto del contendere l’acqua". Molti segni fanno pensare che avesse ragione.
Le prime pagine di questo libro parlano di acqua insufficiente in Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico, Ghana e Stati Uniti. Le guerre dell’acqua non sono una prospettiva lontana nel futuro. Il conflitto è già in corso, anche se non è sempre visibile. Sono al tempo stesso guerre di paradigmi – conflitti su come percepiamo e viviamo l’esperienza dell’acqua – e guerre tradizionali. Questi scontri fra culture dell’acqua si stanno verificando in ogni società. Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla competizione sulle scarse ma vitali risorse idriche. Molti conflitti politici determinati dal controllo sull’acqua sono celati o repressi. Per esempio, nel Punjab una delle ragioni del conflitto che negli anni ottanta ha provocato oltre quindicimila morti è stata il continuo disaccordo sulla spartizione delle acque del fiume. Poi hanno attribuito gli eccidi e gli scontri alla rivolta sikh.
Chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell’acqua travestendole da conflitti etnici e religiosi. Sono travestimenti facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società multietniche che presentano una grande diversificazione di gruppi umani, lingue e usanze.