Il rabbino spagnolo Bahya ben Aser compose, alla fine del Duecento, il suo "Commento alla Torah"; egli interpretò la Scrittura attraverso un sistema a più livelli, capace di utilizzare le "vie" esegetiche classiche della tradizione rabbinica, di abbracciare la "via dell'intelletto" (il discorso esegetico della scienza e della filosofia) e di aprire, al culmine della lettura, la "via della qabbalah": il discorso esegetico della tradizione esoterica, relativo ai "segreti della Torah", trasmesso dalle diverse scuole dei cabalisti.
Tale carattere inclusivo e divulgativo fu senza dubbio uno dei motivi della popolarità che il testo riscosse nel mondo ebraico (e non solo); ed è ciò che rende tuttora estremamente interessante la sua disamina.
Qui, per la prima volta, il "Commento" di Rabbi Bahya viene analizzato in modo organico, fornendo una chiave di accesso all'ermeneutica della Qabbalah (un terreno che peraltro sta suscitando grande interesse negli ultimi anni, come sottolinea nell'introduzione Moshe Idel, forse il massimo esperto vivente sulla mistica ebraica).
Vengono esplorate le linee di integrazione e di conflitto fra i diversi livelli esegetici (in particolare, fra quello filosofico e quello cabalistico). Si illuminano i momenti essenziali dell'esegesi cabalistica: la sua decifrazione testuale, la sua narrazione teosofica, la sua ri-significazione teurgica e mistica dell'esperienza religiosa. E si torna quindi ad affrontare una delle questioni cruciali della ricerca: il rapporto della Qabbalah con il mito.