Le Alpi si trovano a un bivio: diventare una «provincia» della pianura, o nella migliore delle ipotesi un parco-museo a uso dei cittadini, oppure inventare e sperimentare un modello di sviluppo – occasione unica in Europa – che sappia conciliare la difesa dell’ambiente con le ragioni dell’economia, la specificità alpina con il turismo, la tradizione con la modernità.
Esistono prove di umanizzazione delle Alpi a partire da 15000-10000 anni fa, quando, con il ritiro dei ghiacciai, l’uomo cominciò a frequentare le alte quote: prima cacciatore occasionale, poi pastore e contadino stanziale, il montanaro ha sviluppato in migliaia di anni quella raffinata civiltà alpina che, in forme mutevoli e complesse, è sopravvissuta fino alla prima metà del Novecento, e anche più tardi nelle valli isolate. Ma quando la città ha «scoperto» la montagna, la civiltà alpina è stata insidiata dalla «salita» della civiltà urbana.
Ciò che non era riuscito in 10000 anni alle glaciazioni, alle epidemie, alle invasioni armate, alle frane e alle valanghe, è riuscito in pochi decenni a un modello così forte e persuasivo da stravolgere il territorio e trascinare sull’orlo dell’omologazione la cultura e l’identità delle popolazioni alpine. Il libro propone una nuova trasformazione non regressiva.