Ogni genitore vorrebbe che i propri figli passassero un'infanzia felice, ma è sempre più frequente imbattersi nel grande problema che affligge molti ragazzi: il bullismo.
“Bullo” non è solo il bambino, ma anche l’adulto che maltratti bambini o altri adulti. Le etichette però come “bullo” o “vittima” di un atto di bullismo sono controproducenti perché favoriscono l’identificazione dell’individuo con un suo comportamento e intrappolano la persona in un ruolo. È preferibile perciò parlare di bambini che fanno i bulli o compiono atti di bullismo, e di bambini che subiscono atti di bullismo; o meglio, quando il fenomeno del bullismo si verifica tra bambini, si parla di abuso tra coetanei.
Che sia una scuola del centro città o periferica, una scuola pubblica o privata, l’abuso tra coetanei resta un motivo di seria preoccupazione. Non bisogna però dimenticare che anche i bambini che compiono atti di bullismo soffrono, non sono “bambini cattivi” ma hanno problemi spesso gravi. D’altra parte non vanno sottovalutati i danni emotivi che possono colpire chi, durante l’infanzia, ha compiuto o subito forme di abuso tra coetanei, perché avranno lunghi strascichi nella vita adulta.
La prevenzione e il trattamento, sul fronte di chi subisce e di chi mette in pratica, è dunque la nuova frontiera della salute mentale. Per soccorrere quei genitori che non capiscono come mai i figli si comportino male o quelli che viceversa temono che i figli possano andare incontro periodicamente alla minaccia della violenza, è necessaria una profonda trasformazione delle norme culturali che consentono al bullismo di prosperare, e in questo processo il genitore resta una figura chiave.