Anello di congiunzione tra il sacro e il profano, ponte tra l’umano e il divino, il vino racchiude in sé tutta l’ambiguità del sacrificio: necessario e salvifico, ma allo stesso tempo proibito e cruento. Di qui il suo legame con il sangue e con le iniziazioni, elementi da sempre presenti in tutte le religioni.
Trait d’union fra Dioniso e Cristo – morti, risorti e poi divinizzati – il «sangue della terra» è parte integrante dell’Eucaristia, un rito che richiama quei sacrifici in cui bere il sangue della vittima permetteva di accedere a uno stato altro. Stato «altro» o forse stato «oltre», con tutto ciò che comporta. Chi incarna meglio di Ulisse la figura di «colui che va oltre»?
Non a caso nell’Odissea il vino scorre a fiumi. La «prima sbronza della storia» si deve del resto a un altro grande navigatore: una volta terminato il diluvio, Noè fece il vino e si ubriacò, rivelando cose che avrebbe dovuto tacere. Il libro di Charpentier è un suggestivo e spesso sorprendente viaggio lungo la storia della bevanda sacra agli dèi, e può essere letto seguendo percorsi interni in cui tutto ritorna.
Ritorna Atlantide, i cui re traevano forza dal sangue ancora caldo dei tori appena sacrificati. Ritorna il duplice valore del vino, medicina e maledizione, dono e veleno. E ritorna la coppa del Graal che, in maniera simbolica, racchiude tutto questo, ma che concretamente contiene del vino. O del sangue.