La terza ed ultima puntata di quel viaggio iniziato nel maggio 1999 e concluso nel giugno del 2002. La lunga marcia e Verso Samarcanda hanno prima creato e poi consolidato un affezionato pubblico che segue il viaggio a piedi dell’irresistibile Bernard Ollivier lungo la Via della Seta. Per chi non lo ricordasse, riassumiamo brevemente le peripezie di questo non più giovane backpacker: giornalista in pensione, rimasto vedovo con i figli ormai grandi e indipendenti, Ollivier decide di realizzare un sogno che ha tenuto a lungo nel cassetto, percorrere a piedi la mitica Via della Seta da Istanbul fino a Xi’ Changan.
Viaggiatore attento e curioso, Ollivier si trasforma in un grande narratore e intrattiene il lettore con una prosa semplice e garbata ma di grande effetto. In questo terzo volume, l’autore narra la parte più impegnativa del suo viaggio, l’ultimo tratto a piedi verso la Cina. Sincero testimone del suo viaggiare, non fa mistero delle difficoltà incontrate: il lento logorarsi dell’attenzione e delle energie come se, a furia di camminare, l’automatismo si sia sostituito alla motivazione, lasciando lo spirito perso. Certo, la magia dei paesaggi dell’Asia centrale è sempre presente: “L’immensa e piatta vallata di Ferghana nella luce del tramonto”, un angolo di paradiso “prima delle cime vertiginose e ghiacciate del Pamir” e “le sabbie ardenti del Taklamakan”. Certi luoghi sono realmente surreali come il Taklamakan, un deserto grande quanto metà della Francia o come il Torug Art, un arco alto quindici metri dipinto di rosa che segna la frontiera con la Cina. Ma è proprio qui che il morale si inabissa. Per varie ragioni, Ollivier, dopo due anni di marcia, comincia a dubitare di sé, del viaggio, della gente che incontra. La Cina inoltre non è lo spazio ideale per andare a piedi: il viaggiatore solitario si sente ancora più solo e orfano della calorosa generosità delle terre islamiche, dove raramente gli venivano negati l’ospitalità e il calore umano.
Con il garbo che i suoi lettori hanno imparato ad apprezzare, Ollivier conclude un’esperienza di vita e di narrazione che ha significato tanto per lui, e anche per noi che lo abbiamo seguito in poltrona.