Con una buona miscela di analisi socio-culturale, cronaca giornalistica e «lavoro sporco», Naomi Klein, una delle più preparate e rispettate giornaliste nordamericane, espone in No logo il crescente malcontento nei confronti dei marchi.
Senza accorgersene, le multinazionali hanno «militarizzato» la loro opposizione.
Lo sforzo compiuto dalle grandi aziende per rendere omogenee le nostre comunità e monopolizzare il linguaggio comune ha generato una forte ondata di resistenza, testimoniata dalle azioni di guerriglia dei più giovani antagonisti.
No logo racconta la ribellione contro il nostro mondo di etichette, e la colloca in una chiara prospettiva economica e (pop)storica.
In questa esauriente, rivelatrice e umanissima storia, dai sacerdotali negozi della Nike, Naomi Klein ci porta all’interno delle fabbriche sfruttatrici in Indonesia e nelle Filippine. Ci accompagna nei centri commerciali del Nord America, con il loro life-style pronto da indossare. Ci presenta un grande numero di attivisti che combattono la società dei marchi: i «sabotatori» di cartelloni pubblicitari, i manifestanti che hanno sfidato la Shell sul delta del Niger, gli attivisti dietro al processo McLibel di Londra, gli hacker che hanno dichiarato guerra ai sistemi informatici delle multinazionali che violano i diritti umani in Asia.
Naomi Klein è cresciuta nell’età aurea del marketing e ora, forte di una documentazione completa e del suo lucido, candido approccio, scopre quanto la new economy abbia già tradito il suo credo principale e traccia le ragioni della nascita del movimento antiglobalizzazione: un movimento planetario al quale è necessario prestare molta attenzione.
Perché Bill Gates, la perfetta icona della new economy, si è trasformato in un orfanello della globalizzazione?
Perché il baffo della Nike (il più grande successo di marketing degli anni Novanta) è diventato simbolo di sfruttamento della manodopera?
Perché alcuni dei più celebrati marchi del mondo vengono oltraggiati e coperti dallo spray, perché sono diventati l’obiettivo preferito degli hacker e delle campagne anti-industriali?
E, soprattutto, cosa significa tutto questo per il mercato delle multinazionali e le loro relazioni planetarie, cosa ci dice del futuro delle nostre comunità e del mondo in cui viviamo?