Erri De Luca addomestica le parole, che appaiono nelle sue mani come animali selvatici, solo per poco disposti a farsi ammansire.
Le parole di questo artigiano della letteratura, infatti, sono sempre pronte a ribellarsi, a stringersi in forma di pugno, a mandare scintille.
Si direbbe che per De Luca la distinzione tra prosa e poesia sia più labile che per altri autori: le sue scritture narrative sono condensate come poesie, le sue poesie a volte contengono racconti, storie, volti come se fossero narrazioni. Ma sono anche altro: per esempio odi minime agli elementi, come nel miglior Neruda; sono epigrafi per chi non c’è più e nostalgie di un futuro da scrivere.
Sono inni essenziali alle cose del mondo, all’esserci, al resistere, al dire nonostante tutto “noi”.
Sono un rendimento di grazie, una forma di gratitudine per i doni ricevuti e un modo per immedesimarsi con i deboli, i vinti e i lacerati dalla Storia, che sembrano non poter trovare pace visto che nessuno ha saputo accoglierli.
Le parole e le poesie di De Luca sono un invito a scoprirsi umani, liberi, ancora capaci di amare.