“L’attaccamento a sé aumenta l’opacità della vita. Un momento di vero oblio e tutti gli schermi, uno dietro l’altro, diventano trasparenti, di modo che noi vediamo la chiarezza fin nel profondo, tanto lontano quanto consente la vista; e insieme più nulla pesa.
Così l’anima è davvero trasformata in uccello”: in queste righe scritte da Philippe Jaccottet nel 1954 echeggia una dichiarazione di poetica. Ed è una rivelazione: soltanto il superamento dell’io consente all’uomo di ritrovare l’antica unione con il mondo, la pienezza perduta in cui ogni distanza è annullata.
Eliminati tutti i confini, il mondo reale non abbraccia soltanto quello che il poeta vede o sente, ma anche i suoi sogni, i ricordi, le letture, quegli ultimi rumori che ci guidano ancora oltre.
Con una chiarezza espressiva esemplare, Jaccottet sa cogliere perfino nelle sue manifestazioni infinitesimali “l’istinto che permette alle cose di lasciarsi trasportare dolcemente nell’aria, verso l’alto” e, da vero maestro, fa della scrittura un cammino verso il mistero interiore.