Iraklio, Creta, 1925. Nikos Kazantzakis si ritira in solitudine in una casetta in riva al mare, presso l’antica Cnosso.
Riflette inquieto sulle nubi nere che si profilano all’orizzonte (l’ascesa dei totalitarismi) e sulla scrittura come dovere dell’intellettuale.
Cerca la luce di una risposta, per offrire la redenzione a un mondo che si va dissolvendo.
L’impresa è ardua, una lotta con le parole, “puledre selvagge”, perché l’anima possa “spiegare liberamente le ali”.
All’improvviso, l’illuminazione: davanti ai suoi occhi si staglia la figura fiera del suo eroe, Ulisse astuto e insaziabile, assetato di conoscenza, desideroso di rimettersi in viaggio.
Il mondo, le onde del mare si trasformano in tumultuosi decaeptasillabi, e il cerchio soleggiato del suo cervello li accoglie e ride come una spiaggia cretese.
Nasce così l’Odissea, prosecuzione fantastica dell’epos omerico e sintesi di tremila anni di storia del pensiero.
Sarà completata sull’isola di Ègina, di fronte al mare, dopo 13 anni e mezzo di lavoro e sette stesure autografe.
Nella versione definitiva si compone di 33.333 versi suddivisi in 24 canti, lo stesso numero delle lettere nell’alfabeto greco e dei canti dei poemi omerici.
Kazantzakis vi riversa tutte le sue esperienze intellettuali e spirituali, sviluppando una dottrina ascetica sincretistica, basata sui principi di diverse religioni e di grandi, utopistici ideali politici.
Il vagabondaggio di Ulisse è soprattutto un viaggio alla ricerca della salvezza: la liberazione dalla speranza e dalla paura e, impresa suprema, dalla stessa libertà. Perché “il valore dell’uomo è soltanto uno: vivere e morire valorosamente senza accettare alcun compenso”.