Questo libro sul popolo himalaiano degli Hunza offre un grosso contributo ad una ridefinizione dell'idea di progresso.
Troppo a lungo si é alimentato il mito che tutti i primitivi facevano una vita disperata, morivano come mosche e la loro età media superava di poco i trenta anni, in realtà queste erano idee preconcette che presupponevano che tutte le società preindustriali soffrissero dello stesso grado di arretratezza.
Qui si dimostra quanto sia infondata questa assunzione e poichè la salute, che comprende non solo il corpo ma anche la felicità della gente, é un potente indicatore qualitativo del livello di progresso, si suggerisce il dubbio che via siano molti popoli più progrediti della nostra società industriale, pur nella apparente povertà tecnologica.
Questo libro ci racconta come gli Hunza vivano bene, con poco e mangiando poco, armonizzandosi all'ambiente ed al corso dell'anno e sopratutto di quanto sia smagliante il loro sorriso.