Con I viaggi di Gulliver (1726) Jonathan Swift scrive il capolavoro destinato ad aprire le porte della civiltà illuminista, di cui la nostra è ancora erede.
Ciò che solo balugina e ammicca nelle molte edizioni ridotte o semplificate, care all'editoria per ragazzi, è in realtà la caratteristica più potente dell'opera: compreso nel disegno di una satira a tutto sesto, Gulliver è un esploratore di mondi alla ricerca dell'ordine sociale migliore possibile; e tutto studia, e tutto annota, attraverso il filtro deformante di una lente che di volta in volta miniaturizza, ingigantisce, spiazza rispetto alle misure convenzionali.
Questa, curata da Gianni Celati, è la prima edizione italiana annotata, la prima a rispettare nella traduzione il passo, la "prosodia", la sintassi della prosa settecentesca originale.
"Gulliver - scrive Celati nella sua introduzione - sembra uno che si proponga di descrivere la pura oggettività delle cose, ma senza sapere se sta sognando o se è sveglio...
Come un personaggio teatrale che dice per sbaglio quello che non dovrebbe, così Gulliver dice la verità dell'incoscienza, che è l'unica verità possibile."