Macerie fumanti, cadaveri sanguinolenti, pianti e grida di dolore: Troia in fiamme come emblema della caduta di un regno, come luogo archetipico della distruzione e del saccheggio.
A partire dal materiale mitico della tradizione arcaica, la drammaturgia di Euripide presenta al pubblico lo spettacolo dei crimini di guerra e la deriva di una popolazione devastata.
L'orrore è focalizzato nella prospettiva delle vittime, dei corpi umiliati e spogliati delle loro identità, delle soggettività ridotte a voci sofferenti e inermi.
Attraverso una complessa costruzione di genere, il destino dei vinti si articola in un defilé di figure femminili che rappresentano altrettanti ruoli e altrettante esperienze travolte dalla spirale della violenza. Ecuba, Andromaca, Cassandra: una regina privata del trono, una vedova cui viene ucciso l'unico figlio, una figlia ritenuta da tutti una povera pazza.
Su tutte incombe il trauma della perdita e dello sradicamento: la partenza verso un altrove che significa schiavitù e miseria.
Nella condizione di una totale impotenza restano solo il lamento, le grida di dolore, le imprecazioni rancorose, i paradossi di una ragione allucinata, l'urgenza emotiva di dirsi e di raccontare un'ultima volta la propria storia e il proprio diverso passato. Nessun tribunale di guerra potrà riparare la catastrofe e l'umiliazione di queste donne.
Nessuna possibilità di denunciare colpe e responsabilità. La guerra è stata voluta dagli dei, ribadisce Elena protetta dalla sua inossidabile bellezza. La nuda tautologia del mito chiude ogni discorso e ogni rivalsa. Nelle fiamme del rogo finale, costruzioni teologiche e mediazioni politiche crollano insieme alle case e agli edifici della città.