La natura delle cose è un poema fondamentale nella storia della letteratura e del pensiero, in cui vengono assunti a fondamento i principi portanti della filosofia epicurea.
Lo stesso Cicerone fu soggiogato dalla grandezza dell’opera e, pur non approvandone filosoficamente il contenuto, contribuì in modo decisivo alla sua pubblicazione, dicendo: “Rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica”.
L’opera è la celebrazione della dottrina epicurea come filosofia liberatrice dell’uomo e valido mezzo a confortare un’umanità quanto mai turbata e incerta. Suo cardine sta nella fisica atomistica democritea: il mondo in cui viviamo non è che il risultato dell’unione casuale di una parte degli infiniti atomi, da sempre in movimento nello spazio senza fine.
Al rigido sistema democriteo, Epicuro in realtà aggiunse una variante rivoluzionaria, il clinamen, ossia la spontanea deviazione degli atomi dalla loro traiettoria rettilinea, una sorta di “libero arbitrio” ante litteram. Anche il mondo degli dei esiste.
Ne abbiamo immagine, ma vivendo eternamente beati negli spazi, essi non hanno tempo né voglia di occuparsi di noi. La conclusione è che, in questo modo, sia la fisica sia la teologia ci liberano dagli ostacoli più gravi che si oppongono alla nostra felicità: il timore della morte e della collera divina.