Come per Omero e Saffo, in Dylan la musica si fa poesia.
O viceversa.
È questa, in sintesi, la motivazione con cui l’Accademia di Svezia annuncia il 13 ottobre 2016 il conferimento del premio Nobel al cantautore più amato del mondo.
Il resto è storia nota: Dylan non va a ritirare il premio a causa di impegni presi in precedenza, la sua lettera di ringraziamento viene letta dall’ambasciatrice degli Stati Uniti in Svezia, Patti Smith esegue A Hard Rain’s a-Gonna Fall e si commuove.
Intanto l’eterno dibattito si riaccende: una canzone può essere letteratura?
In queste pagine, che contengono la lettera di ringraziamento e il discorso tenuto all’Accademia di Svezia durante una cerimonia privata, non si trovano le risposte di Dylan a questa domanda, ma il suo rapporto con la letteratura, con le storie che ha amato, con i linguaggi che lo hanno allevato.
Ci sono Omero e Buddy Holly, Moby Dick e Niente di nuovo sul fronte occidentale.
E soprattutto ci sono incontri e ricordi, perché “le canzoni sono vive nella terra dei vivi” e Dylan, come Omero, invoca la Musa chiedendole semplicemente di cantare, attraverso la sua bocca, una storia.