Cosa racconta Pusˇkin nello Evgenij Onegin? Uno spreco, una storia d’amore mancata, l’impossibile accordo fra educazioni sentimentali ispirate a modelli letterari diversi, la vita stritolata nelle discrepanze fra civiltà e natura. L’incontro di Evgenij e Tat’jana nella campagna russa, la lettera d’amore della signorina di provincia al giovane dandy, il duello in cui questi uccide l’amico, i suoi viaggi e infine l’arrivo a Pietroburgo per riconoscere Tat’jana nelle vesti di altera principessa legislatrice di salotti, e innamorarsene perdutamente: Pusˇkin racconta questa storia con la levità di un cherubino mozartiano che, nel contrasto fra il fuoco del sangue in parte africano e i ghiacci di Pietroburgo, maschera i brividi con un eroico sorriso.
È la più bella opera letteraria russa. Perché non è conosciuta quanto meriterebbe? Che sia perché, come ha scritto un suo traduttore illustre, Nabokov, è intraducibile? Questo, in versi liberi, è un nuovo tentativo di avvicinarsi alla voce di Pusˇkin, o quantomeno di renderne le parole senza troppo gravarle di intonazioni estranee. A certe opere la memoria associa la nascita di una lingua letteraria: con Evgenij Onegin (1823-1830) il russo raggiungeva maturità, e Pusˇkin metteva a nudo il sistema nervoso di una cultura in bilico fra l’Europa più raffinata e l’arretratezza di steppe sconfinanti nell’Asia.