Nell’andare raccogliendo le superstizioni, le fiabe, le leggende e le credenze dell’Appennino Marchigiano, attorno al XV secolo gli abitanti e i pellegrini che arrivavano in queste zone avevano l’uso di tatuarsi le mani o l’avambraccio vicino ai polsi.
Erano tatuaggi di colore blu di figure, motti, croci, simboli sacri, cuori trafitti, teschi e ancore.
Questa popolazione così semplice, gentile e intelligente nella quale pare si siano confuse e quasi adagiate le civiltà umbra ed etrusca, ha l’uso di tatuarsi; gli uomini singolarmente: ed è facile di scoprirlo, perché si tatuano in generale le braccia verso il polso.
L’osservatore rimane sorpreso di vedere nei lavoratori dei campi, colle maniche rimboccate, questi segni simbolici di colore turchino: una figura, un motto, una croce e i simboli della Passione col sole e la luna, o quello dello Spirito santo, e uno o due cuori sopra un globo, talvolta ad una stella; poi un millesimo, eterno, incancellabile non ti scordar di me, come dice la canzone.
Le origini di questa tradizione venivano dal Santuario di Loreto, probabilmente era un atto di devozione o forse di riconoscimento. Caterina Pigorini Beri, in questo libro del 1889, ripercorre la nascita di questa interessante usanza e raccoglie un centinaio di disegni dei tatuaggi originali.