Se qualcuno ti chiedesse quando si diventa adulti, cosa risponderesti?
Siamo sicuri che indipendenza economica, lavoro, tetto sopra la testa, razionalità di pensiero siano condizioni per potersi definire tali?
Secondo l’autrice, questa è solo la punta dell’iceberg, finché non prendiamo in carico la nostra infanzia, finché questa non viene guardata, curata, risarcita, ascoltata, adulti non si diventa mai. Riprenderla in carico non significa tenere in vita il bambino che siamo stati, al contrario, significa elaborarne il lutto, considerarlo morto e in attesa di sepoltura.
Riprenderla in carico significa guardare con lucidità indietro, nel viaggio iniziale che ha formato quello che siamo ora, ridando i giusti pesi e restituendo ciò che non ci appartiene.
Non è un lavoro interiore riservato a chi ha figli, tutt’altro, è un’immersione necessaria a chiunque, perché l’infanzia è una condizione umana imprescindibile per tutti noi.
Questo è il modo per smascherare e disinnescare copioni tossici che creano sofferenza e rendono prigionieri. Questo è il modo, perché il segreto delle nostre esistenze è nell’infanzia, scatola nera e quartier generale del nostro esserci.
Da lì tutto è cominciato e, quando ci perdiamo, è esattamente lì dove dobbiamo tornare. Solo così scopriamo chi siamo ora, se siamo padroni della nostra vita e capiamo come metterci al suo timone.