«Non è dato oggi di amare se non si ritiene preliminarmente che l’amore sia ormai impossibile o almeno condannato. “Lara e Zhivago s’incontrano in modi sovrannaturali perché comune a entrambi è la condanna del mondo dove vivono, come mondo nel quale lo spirito d’amore è considerato un fiore del male”».
Così scriveva Elémire Zolla un quarto di secolo prima che la sua teoria della mania amorosa imperniata sulla figura della Sposa celeste prendesse forma scintillante e erudita ne L’amante invisibile.
Al posto di Venere e Marte in catene nel dipinto ferrarese di Francesco del Cossa l’abbraccio della coppia divina librata a mezz’aria nel rilievo di Khajurâho esalta il carattere ultraterreno del legame amoroso che aduna in sé i contrassegni della vita, della morte, del potere magico e del sacrificio.
Se Eros è un archetipo di portata universale è perché è la stessa mania che all’occorrenza esalta il poeta, invasa il mistico, pervade il celebrante dei sacri riti e largisce il dono profetico secondo l’antica dottrina esposta nel Fedro platonico.
Le vampe della lussuria, la cenere sulla fronte dell’asceta, il trasumanar dei sensi celebrato dagli stilnovisti non sono che contrassegni e aspetti, difformi solo in superficie, di un’identica forza cosmica che nella statuaria indiana si palesa nel mitico abbraccio degli amanti divini.
I mille volti della Dama-Shakti che Zolla insegue e cattura nelle letterature di Occidente e Oriente, dall’Africa a Israele all’India, dal mondo celtico ai romantici inglesi alla belle époque russa, recuperano infine anche l’identità a tutti noi più familiare di madre natura.
«Chi - domanda Zolla - fa zampillare gli alberi della vita? Irraggiungibile ma onnipresente, Lei, Natura sempre-mutevole, intelligente in modi a noi preclusi, rigorosa e dissipatrice, che ci impone di fremere di desiderio, di illuderci, e che, se proviamo a disingannarci, ci punisce, in noi non tollera la tiepidezza. In una donna mortale si può incarnare, offrendoci la sua pace, che include la trepidazione e il dolore».