Minacciosa per definizione, ecco la Creatura nasce da lì, emerge dal caos.
Senza volerlo – o almeno facendoci credere di non averlo voluto davvero – Mary Shelley regala alla letteratura uno dei suoi personaggi più efficaci, negandogli un nome e una vita, e probabilmente rispecchiandovi parte della sua stessa unicità di donna della sua epoca.
Scritta da un’esordiente appena diciannovenne, l’«opera germinale» di Mary Shelley, cui arrise presto un eccezionale successo di pubblico, ha attribuito definitiva cittadinanza nell’immaginario collettivo ad alcune stereotipie assai longeve, che tenderanno ad assumere nel corso del tempo un’importanza via via maggiore, fino a divenire miti ineludibili della modernità.
Il lacerante conflitto tra un Creatore deluso e la sua Creatura ripudiata, l’obbrobrio del Mostro generato dalla luciferina presunzione dell’Uomo, la responsabilità (e, infine, la colpa) derivante dalle formidabili applicazioni di una scienza cieca e superba... questi e altri temi sottesi al plot della vicenda offrono tuttora appiglio ad altrettante riflessioni, infondendo una nuova scintilla vitale nel guazzabuglio di membra che torna ad agitarsi sotto i nostri occhi.
E nel percorso pendolare di allontanamento/avvicinamento che si è dipanato nel tempo, compare ciclicamente il tentativo di riscoprire il significato profondo del «testo fonte».