Forse non esiste simbolo più potente della spada per rappresentare l’era dei samurai.
Nel Giappone del XVII secolo, l’arte della spada aveva assunto una popolarità quasi religiosa: era più che una mera padronanza delle tecniche, era un vero e proprio percorso verso la padronanza di sé.
Il manuale dello spadaccino costituisce un’antologia di opere scritte da uomini che consideravano lo studio della scherma non solo un elemento essenziale alla vita e alla morte, ma anche un qualcosa che trascendeva la vita e la morte stesse.
Il loro insegnamento, secondo cui affrontare un conflitto è un’arte che richiede grazia e coraggio, si rivolge a noi lettori con una sorprendente immediatezza e rilevanza.
Questa antologia include gli scritti di Kotada Yahei Toshitada, Takuan Soho, Yagyu Munenori, Miyamoto Musashi, Matsura Seizan, Issai Chozanshi e Yamaoka Tesshu.
L’arte della spada possiede una grazia, una dignità e un’etichetta, accompagnate da tecniche che richiedono presenza mentale e coordinazione fisica, che sembrano svelare l’immediatezza della condizione umana, sia fisica che spirituale.
E tutto ciò mentre si maneggia una lama che simboleggia la sottile linea che separa l’esistenza dalla non-esistenza.