"È equilibrio la parola magica, non vantaggio, non profitto.
L’equilibrio resta, il profitto va e viene"
Chi sono veramente i manager?
Una casta di irresponsabili strapagati o semplici impiegati di lusso, che sacrificano tutto per il lavoro e alla fine del mese aprono la busta paga e fanno di conto? Quali competenze hanno? Sanno tutto di sistemi informativi, ma quanto di comunicazione umana?
Tutto di statistica, ma quanto di sociologia?
Come si può scegliere tra crescita e sostenibilità, se ogni anno ci si confronta con obiettivi di budget in crescita?
Come possono essere recuperati i rapporti umani dentro le aziende?
È giusto "vincere" o ci si dovrebbe accontentare di "prosperare"?
È più importante l’efficacia delle cose o la loro bellezza?
La generazione di manager di oggi, cresciuta ai tempi della rivincita del liberismo, ha ereditato un modello che non funziona più e per questo si interroga sul futuro: qual è davvero il ruolo del profitto, dell’innovazione, il rapporto con le comunità?
Serve un vocabolario nuovo.
Servono responsabilità, rispetto, coscienza e orientamento al futuro.
Le aziende non sono soggetti economici con una responsabilità sociale, ma sono soggetti sociali con una responsabilità economica.
Servono visioni, molto coraggio e il tempo per realizzarle.
E serve qualcuno che si assuma la responsabilità di guidare.
Con umanesimo e un pizzico di leggerezza.