Mi chiamo Astridius, principe dei folletti, re degli stracci, ultimo miserabile rampollo di una stirpe perseguitata, e in questo libro racconto la mia storia. Sono figlio di un uomo buono giustiziato con una falsa accusa di stregoneria, per il fatto di essere un divinatore.
Questo è il nome che danno a coloro che possono vedere i folletti, creature fatte di aria e di follia. Vederli e ascoltarli: i folletti non tacciono mai. La loro compagnia, vi do la mia parola, non è uno scherzo, anche se hanno riempito la mia sterminata solitudine permettendole di non essere totale. I folletti ci danno la capacità di conoscere il futuro, perché ce lo raccontano con le loro piccole voci ossessive.
Ma del futuro ci raccontano soprattutto i disastri. Hanno una predisposizione per i disastri.
La vita di un divinatore è assordata da questo continuo triste cicaleccio. In effetti è terribile essere a conoscenza delle sciagure che stanno per arrivare.
L’ossessione di evitarle vi riempie l’anima.
E quindi noi divinatori ripetiamo le profezie udite, nella speranza che qualcuno faccia qualcosa per scongiurarle, qualcosa di intelligente, ma l’intelligenza è un bene prezioso e non sempre abbondante. Quello che puntualmente otteniamo sono odio e persecuzioni. Le persone non vogliono conoscere le verità terribili e odiano chi le preannuncia.
Ci accusano di essere noi a causare, evocandolo, il dolore che invece vogliamo solo evitare.
Quando ho scoperto di avere lo stesso dono di mio padre, di essere anche io un divinatore, per qualche istante ho avuto la scelta: tapparmi le orecchie, vivere in pace, pascolare le mie pecore, fabbricare il formaggio.
Oppure come mio padre intervenire e battermi con tutte le mie poche forze perché il male non inghiotta il mondo.
Ho fatto la scelta di combattere. Mi chiamo Astridius, principe degli stracci, re dei folletti, e ho vinto la mia guerra.