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La maternità surrogata costituisce uno dei temi più complessi – dal punto di vista emotivo, etico, filosofico, giuridico – dei nostri tempi ed è una delle pratiche moderne che, nell’ottica dell’autrice, dà l’idea del distacco dell’uomo dalla propria natura e della distanza che si determina tra l’azione umana e i fini che dovrebbero esserle propri.
Al centro di questo saggio c’è una madre che dà via suo figlio per soldi e una coppia che, avendo soldi, preferisce comprare un bambino piuttosto che cercarlo tra quelli che attendono di essere adottati.
Basata sulle teorie dello sviluppo infantile e sull’esame delle difficioltà e delle insidie del quadro legislativo, nazionale e internazionale, in materia della gestazione per altri, la tesi saliente dell’intera trattazione è che nessuna tecnica, per innovativa e rivoluzionaria che sembri, potrà mai privare l’uomo del bisogno ancestrale di avere una madre e un padre. L’autrice sottolinea la necessità, soprattutto a livello dell’opinione pubblica, di ricomporre la stretta relazione che c’è tra affettività e sessualità, tra sessualità e procreazione, tra procreazione e gestazione, tra gestazione e accoglienza del bambino fino al suo pieno sviluppo.
La frammentazione dell’esperienza umana, innanzitutto nel delicato ambito della maternità, anche qualora apparentemente sembri una soluzione, è solo una fonte di molti altri problemi, che la tecnologia neppure immagina nella sua rincorsa prometeica a creare la vita fuori dal suo solco naturale.
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