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G.K. Chesterton fa quello che sa fare meglio: intessere storie di intrighi e affascinanti misteri, ricche di atmosfera e colpi di scena, che portano sempre a un cruciale risvolto filosofico.
Si passa dalla costruzione del «paesaggio morale» de Gli alberi della superbia, in cui Chesterton riprende uno dei temi a lui più cari, ovvero l'esaltazione dell'umile (in quanto, come fa dire a Padre Brown «Le altezze sono fatte perché le si guardi dal basso, non dall'alto»), al «tesoro» di una poetessa dagli occhi pieni di «un'ambizione del tutto spirituale» de Il giardino di fumo; dall'uomo ucciso due volte ne Il cinque di spade, al furto di diamanti de La torre del tradimento. Ma non è tutto qui, ovviamente.
Pochi altri scrittori possiedono, come Chesterton, la sua felicità di linguaggio, la sua efficacissima compendiosità, il suo gusto per il paradosso, la sua capacità di identificarsi con l'anima di coloro che appaiono malvagi.
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