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«Da adolescente» scrive Emmanuel Carrère nel Regno «sono stato un lettore appassionato di Dick e, a differenza della maggior parte delle passioni adolescenziali, questa non si è mai affievolita. Ho riletto a intervalli regolari Ubik, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Un oscuro scrutare, Noi marziani, La svastica sul sole. Consideravo – e considero tuttora – il loro autore una specie di Dostoevskij della nostra epoca».
A trentacinque anni, spinto da questa inesausta passione, Carrère decise di raccontare la vita, vissuta e sognata, di Philip K. Dick.
Il risultato fu questo libro, in cui, con un'attenzione chirurgica per il dettaglio e una lucidità mai ottenebrata dalla devozione, Carrère ripercorre le tappe di un'esistenza che è stata un'ininterrotta, sfrenata, deragliante indagine sulla realtà, condotta sotto l'influsso di esperienze trascendentali, abuso di farmaci e di droghe, deliri paranoici, ricoveri in ospedali psichiatrici, crisi mistiche e seduzioni compulsive – e riversata in un corpus di quarantaquattro romanzi e oltre un centinaio di racconti (che hanno a loro volta ispirato, più o meno direttamente, una quarantina di film).
Con la sua scrittura al tempo stesso semplice e ipnotica, Carrère costruisce una biografia – intricata e avvincente quanto lo sarà, vent'anni dopo, quella di Eduard Limonov – che è insieme un romanzo di avventure e un nitido affresco delle pericolose visioni di cui Dick fu artefice e vittima.
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