Sono passati in rassegna i movimenti maschili pro e contro il femminismo: progressisti (come filone culturale che giulivamente considera salutari la crisi maschile e l’autocastrazione psicologica a puntate), antifemministi (il sito “Anti-feminist on line Journal”, una sorta di fortilizio lacustre costruito sui pali dell’ etologia umana profonda), liberali (“Pari diritti per gli uomini”, gruppo che rivendica lo stato neutrale); radicali, nel senso di fondamentalisti, ripartiti in relazione all’approccio: decostruttivista, con tutti i pregi e i difetti di una sociologia acefala del mondo ("Uomini 3000"); neomarxista rigoroso, talvolta pignolo, ma con una sua particolare ariosità storica (“Uomini Beta”); antropologico, eroico e un pizzico tardo romantico (“Maschi Selvatici”).
Nella seconda parte, quantitativamente più lunga rispetto alle altre (più di cento pagine), sono affrontati e confutati gli addebiti o argomenti specifici, di regola impugnati come clave dal pensiero femminista. Citiamo senza seguire un ordine di esposizione preciso (e magari dimenticando qualcosa): la critica alla sessualità maschile su base biologica, sorta di dolorosa castrazione postuma; il programmatico rifiuto della famiglia patriarcale presentata come l’ ultima Thule del macho zotico; l’attacco alla maschilità, sempre e comunque portatrice sana di violenza. Spesso la ricostruzione interferisce con la critica ( e viceversa), rendendo la lettura meno agevole. Tuttavia, oggettivamente, non era ne è proprio facile sbrogliare la matassa.
La terza parte, probabilmente la più ghiotta, si occupa della “rappresentazione del maschile”: di come viene “narrato” a sinistra ( tutta o quasi dalla parte del determinismo culturale della Gender Theory), a destra (confusa, fregnacciara, per dirla in romanesco, e in ritirata strategica, non tattica) e dalla Chiesa (preoccupata, compunta ma di fatto cerchiobottista).
Quali le conclusioni di Ermini? Il moderno, oltre certi limiti, come quello della giusta rivendicazione della parità formale, può diventare autodistruttivo. Può… Perché Ermini non è uno spengleriano di ritorno. Sembra, infatti, apprezzare, le conquiste di libertà dei moderni. Indietro non si può tornare. Come Tocqueville, Ermini teme il giacobinismo centralista (delle femministe aiutate da uno stato schmittianamente motorizzato), ma sa bene, che è con il Minotauro Femminista (metà donna, metà stato) che noi moderni dobbiamo fare i conti, per riprendere, modificandola, un'espressione di Bertrand de Jouvenel sullo strapotere dello stato, vero dio mortale. Insomma, non esistono vie di fuga, se non quella di ridurne grandemente i poteri.
Ma come? Sul punto Ermini non sembra soffermarsi più di tanto. Salvo mostrare un’intelligente moderazione cui però affianca un’importante consapevolezza. Quale? Della necessità di recuperare, sulla scia delle intuizioni di Risé (ma non solo), l’ assertività maschile, Cosa si intende con il termine? La virile forza costruttrice, da “asserire” senza alcun timore in ogni situazione. Per dirla con i nostri nonni: l’ ”uomo deve essere uomo e deve portare i pantaloni”. E le donne? Anche - ci sembra di capire - ma senza esagerare.
Va detto infine che Ermini, in qualche misura, sembra brillantemente riproporre le tesi di quella sociologia che studia gli aggregati umani nelle forme più elementari e periferiche: l’abitante della favela, il senzatetto, il girovago (per inciso, un pensiero “orecchiato”, ma in chiave movimentista, da Latouche a proposito delle sue elucubrazioni decresciste). Nel senso, per tornare a Ermini, che in una società, dove il maschio sembra in ritirata, l’assertività, in quanto forza sociale sotterranea, prima o poi, finisce per tornare alla luce, manifestandosi negli interstizi: tra i marginali e dove meno ci si aspetta di trovarla. Ne parla nella chiusa, sociologicamente perfetta. Si tratta di un passo molto bello che merita essere citato per esteso:
“Oltre alle parole alle teorizzazioni e le analisi più o meno raffinate sono convinto che basti, per rintracciare i segni in positivo del maschile, guardarsi intorno con occhi attenti, anche oggi. Il barbone che salva le ragazze dallo stupro e si prende qualche coltellata, il bagnante che affoga per salvare due bambini, il passante che salva una donna dall’incendio della sua auto o dal morso micidiale dei due rottweiler, lo zingaro che muore per salvare la giovane moglie. Piccoli episodi di cronaca, uomini, normali, magari emarginati ma maestri […] . Il dono maschile non significa affatto vocazione al sacrificio per il sacrificio […] . Non significa neanch , anzi sarebbe l’opposto, acconsentire, per piaggeria o malintesa cavalleria, a qualsiasi cosa dicano o facciano le donne. Abbiamo detto che l’assertività è maschile, e dunque si tratta di esercitarla, non contro ma per . Per se stessi consci della propria insostituibilità, per i figli che hanno bisogno disperato di noi, per le donne che necessitano di una sponda forte e salda che sappia tracciare anche per loro il quadro entro cui poter esercitare la propria femminilità e offrirla, anch’esse, a vantaggio di sé e degli altri, infine per la comunità tutta, che senza un maschile degno di questo nome è destinata a insterilirsi” (pp. 197-198, corsivi nel testo).
(recensione di Carlo Gambescia)