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Nel quotidiano frastuono informativo, Il silenzio della terra ci invita a riflettere in maniera inedita sull’urgenza di una prospettiva aborigena per capire un mondo stravolto da velocità e grandi menzogne; per interrogarci sulle relazioni sociali oggi possibili, e su come decolonizzare il futuro. Questo libro rallenta l’osservazione, mette a fuoco corpi e luoghi.
Suggerisce il superamento della visione occidentale e coloniale in cui sono intrappolate le scienze sociali e offre elementi che ne favoriscano il ripensamento in termini di utilità, a partire da un posizionamento autocritico della sociologia rispetto alle contraddizioni del neoliberismo, contro la mercificazione della natura, della vita e dei sentimenti, contro subalternità vecchie e nuove. Imparare dalla sociologia aborigena – da chi produce saperi ai margini del mondo – significa praticare con umiltà i sentieri di una terra che le scienze sociali non vedono più, e sporcarsi di fango nella conoscenza dei luoghi: una sociologia a piedi scalzi contro il sapere ingessato dell’accademia, in sintonia con le lotte sociali per i diritti della terra e di chi la abita.
Le autrici sono sociologhe femministe, attiviste che combattono per la giustizia sociale e ambientale. Si sono conosciute all’Università di Santa Cruz in California, più di venti anni fa, e da allora esplorano il pensiero sociale del Sud del pianeta, con attenzione alle resistenze individuali e collettive, alle forme non convenzionali della produzione di conoscenza, alle nuove epistemologie che sovvertono l’eurocentrismo dominante nella teoria e nella metodologia della ricerca.
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