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Nato nel 1975 in Inghilterra da padre pakistano e madre inglese, Alexander Khan trascorre i suoi primi anni in una comunità musulmana inglese.
All'età di tre anni, però, i genitori si separano e il padre decide di portarlo in Pakistan. Alex non lo sa, ma non rivedrà mai più sua madre: gli viene detto che se n'è andata, abbandonando lui e la sorella; molti anni dopo, scoprirà che a lei invece è stato detto che entrambi i suoi figli sono morti in un incidente d'auto in Pakistan.
Dopo altri tre anni Alexander viene riportato in Inghilterra, dove viene però tenuto segregato. Il padre torna ancora in Pakistan e lo affida alle cure della matrigna e del suo crudele fratello. Ed è qui che cominciano i veri drammi per Alex: considerato un estraneo sia dai pakistani della sua comunità che dagli inglesi, cresce solo e abbandonato.
Quando il padre muore improvvisamente, Alex viene rimandato in Pakistan a vivere con la sua "famiglia", per imparare a comportarsi da "buon musulmano". Solo, in un paese ostile e sconosciuto, Alex capisce cosa significhi essere veramente orfani. Nessuno che ascolti, nessuno a cui importi. E nessuno si preoccupa quando viene rapito da un membro della sua stessa famiglia e spedito in una madrasa di fondamentalisti al confine con l'Afghanistan.
Solo dopo molte vicissitudini e qualche amico inaspettato, Alex riesce a riconquistare la sua libertà; e, a coronamento di un'odissea fra culture, anche a riunirsi con la sua mamma.
Questa storia vera, affascinante e avvincente, è un atto d'accusa contro i fondamentalismi e la xenofobia, da qualunque parte essi provengano e verso qualunque vittima. Se avete amato Il cacciatore d'aquiloni o Mai senza mia figlia, la storia di Alexander non potrà che toccarvi.
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