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Quello che fa di Massimo Fini uno degli intellettuali italiani più interessanti di questi anni, che è poi lo stesso motivo che ne fa il più ostracizzato e temuto dai salotti televisivi, è la sua irresistibile antimodernità, quel suo punto di vista ipercritico sullo scoglio a cui la società occidentale, dopo un naufragio lungo qualche secolo che tutti chiamano crociera, è approdata. E proprio questo libro, pubblicato nel 2002 da Marsilio e non a caso sottotitolato “Manifesto dell’Antimodernità”, attraverso una lucida e sintetica analisi che svela l’essenza contraddittoria e grottesca dell’habitus mentale occidentale, rappresenta un ottimo punto di partenza per capire le ragioni di questa avversione. La convinzione di vivere in un leibniziano “migliore dei mondi possibili”, ma soprattutto la pretesa di esportarlo dovunque, trasformando l’altro in se stesso: è questo secondo Massimo Fini il Vizio oscuro dell’Occidente, quello che sta portando la nostra società - e a traino tutto il mondo verso una fine inevitabile, un’apocalittica guerra intestina i cui protagonisti non saranno più due differenti fazioni politiche, e neppure due differenti culture, bensì le due parti della futura (benché prosima) società globalizzata, da una parte una minoranza esigua, i sostenitori della folle corsa moderna, e dall’altra la maggioranza, disillusa, frustrata ed esasperata.
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