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Secondo Jung è ciò che si verifica in Così parlò Zarathustra di Nietzsche. Sulfureo e micidiale, si colloca nei ranghi esigui dei testi riservati soltanto a coloro che sono in grado di non farsene travolgere. Insieme con questi lettori d’eccezione – perlopiù «persone che si sono sottoposte a una formazione assai accurata nel campo della psicologia dell’inconscio» – Jung commenta analiticamente, un capitolo dopo l’altro, l’orditura di «immensa bellezza» e «influenza maligna» che trama il capolavoro nietzscheano. E neppure che in tutte quelle che pulsano come organismi viventi l’inconscio sia destinato a rivelarsi con pericolosa dirompenza.
Nel lungo seminario di Zurigo però si svolge qualcosa di più di un lavoro di esegesi corale rimasto ineguagliato per potenza di scandaglio e vastità dei saperi convocati, dalla filosofia alla storia delle religioni occidentali e orientali, dall’alchimia alle discipline della psiche, dalla letteratura al pensiero politico. Non vi si officia un magnifico rito di separatezza, al riparo dagli eventi. La cognizione che poco lontano la Germania nazista stia incubando la catastrofe, e dispieghi allo scopo proprio le insegne del superuomo, traspare sempre dalle voci che chiosano le parole densissime di Nietzsche, si interrogano sulle sue affilate immagini concettuali, allargano il campo interpretativo all’«infezione mentale» che semina contagio tra chi, individui e popoli, non riesce a integrare l’inconscio. Qui assistiamo al corpo a corpo con Così parlò Zarathustra dal maggio 1935 al giugno 1936. E il convitato è la Storia. Non è detto che da ogni opera capitale tracimi la vita.
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