Tiziano Terzani, al termine della sua vita da reporter in viaggio per il mondo, si ritira a vivere con la moglie Angela nella sua casa nella campagna toscana. Chiama a sé, al proprio capezzale di uomo malato vicino alla morte, il figlio Folco che vive a New York. Gli vuole raccontare la storia della propria vita, soprattutto della sua fase spirituale d’isolamento sull’Himalaya, un’esperienza per lui decisiva di apertura nei riguardi dell’universo. Le sue stesse memorie sono raccolte in un libro dal figlio, e dopo la morte di Tiziano, Folco sparge le sue ceneri al vento dei monti della Toscana settentrionale.
C’è veramente tanto da imparare da un personaggio equilibrato, erudito e coraggioso come Tiziano Terzani, giornalista e scrittore, uomo di mondo, infaticabile, temerario guerriero del viaggio. Insegna al proprio figlio con la maestria del saggio centenario che guarda il mondo con gli occhi dell’anima e le palpebre di un cuore sempre aperto alle emozioni. Attua con il figlio Folco un dialogo aperto su quelli che sono i temi universali della vita, quali amore, natura, spiritualità, passione, morte. Folco lo guarda con gli occhi increduli del sognatore che ammira il carisma del proprio padre, senza capacitarsi però dell’essenza. Folco si perde fra la natura del luogo, dove gli alberi hanno gli occhi poiché conservano un’anima anche loro, e il vento sembra sussurrare parole di suadente armonia.
Diretto da Jo Baier e prodotto e sceneggiato da Ulrich Limmer, oltre che scritto anche dallo stesso figlio Folco, “La fine è il mio inizio” riesce ad evitare il taglio della facile oratoria linguistica, concentrandosi sulla parola vera, sull’intervista, per tracciare poi nel mezzo di tutto questo un percorso ricco di bagliori di poesia, sottolineata dalla meravigliosa colonna sonora del compositore Ludovico Einaudi (una sorta di omaggio al maestro Erik Satie). Bello è il rapporto tra padre e figlio, interpretati rispettivamente da Bruno Ganz (eccelso attore, perfetto per la parte di Tiziano Terzani) e da Elio Germano (bravo ma meno apprezzabile in questo caso, forse anche a causa del suo doppiaggio). Sono presenti a questa sorta di commemorazione anche la moglie Angela (Erika Pluhar) e la figlia Saskia (Andrea Osvárt).
Complessivamente il film è un accorato omaggio a quella che è l’essenza del pensiero di Tiziano Terzani: un vero e proprio saggio morale sulla maniera di vivere al di fuori del consumismo che tutto consuma e divora, facendo disperdere nei sotterranei del dispiacere l’essenza delle varie personalità della gente, incapace sempre più di reagire di fronte alle tentazioni dei marchi distintivi in cui si viene suddivisi in base a ciò che una persona ha piuttosto a quel che si è. Ecco, secondo Terzani vi è stata una vera e propria dispersione di valori, una dispersione che ha fatto dissolvere la voce interiore che richiama alla spiritualità, soggiogata dall’omologazione del pensiero umano. A conti fatti, il film riporta alla mente il toccante “Daddy Nostalgie” (1990) del regista francese Bertrand Tavernier: lì c’era una figlia che tornava dal padre in punto di morte per cercare di recuperare gli anni delle incomprensioni, e qui il figlio torna per cercare di capire il padre prima che lasci la sua amata Terra; le prospettive dei due film presentano delle evidenti similitudini (e infatti, a detta di Ulrich Limmer, Tavernier è uno dei suoi eroi).
“La fine è il mio inizio” è una storia che segue le fila del caratteristico racconto di formazione, gravato solo in parte da una certa inevitabile verbosità. Un piccolo grande film sul recupero dei sentimenti sulla base delle esperienze di una vita. Del resto, ogni fine contiene sempre un nuovo inizio.
Scritta da Federico Mattioni sabato 26 marzo 2011 da
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