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Osho commenta i primi capitoli dell’opera di Gibran, introducendo il profeta Almustafa, il suo viaggio e la sua prossima dipartita, e l’eco che questa sua partenza ha sul popolo di Orfalese. Nonché il conseguente e improvviso bisogno di sentire da lui quali valori e significati sono nascosti nei gesti e nelle esperienze che accompagnano la nostra vita di uomini: amore, relazione, unione, figli; generosità e lavoro; mangiare, bere e vestirsi; la gioia e il dolore.
Nei primi anni di questo secolo il poeta libanese Kahlil Gibran creò l’opera che pare riunire, più di ogni altra, le generazioni del Ventesimo secolo in una comunione trasversale di intenti e di aspirazioni, una comprensione che trascende razze e nazioni su quei valori che ci fanno "esseri umani"... cose che si agitano perennemente nel cuore degli uomini.
Ma poiché Gibran era un poeta, e non un mistico, né tantomeno un Maestro, la comprensione più intima di quanto egli tratteggiò nei suoi versi è sempre rimasta sullo sfondo, lasciata all’intuizione non verbale dei cuori più sensibili. Cosa spesso difficile, sicuramente non priva di possibili incomprensioni e di malintesi, e soprattutto sovrastata sempre dal filtro della mente e delle sue proiezioni. Un lavoro labile, spesso vittima dell’immaginazione, dove le intuizioni restano bagliori improvvisi che la vita quotidiana spesso attutisce e dissolve.
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