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Nel libro appena pubblicato dalle curate edizioni SE ed intitolato La nobiltà dello spirito, di Meister Eckhart, troviamo una summa non solo della sua teologia, ma di quanto di più moderno si può ritrovare in questo mistico tedesco osteggiato e scomunicato dalla chiesa cattolica nel Basso Medioevo. Surrogato dal più attento studioso italiano di Eckhart, ossia Marco Vannini, il volume appare ancora di più pregiato, e ne stila un profilo quanto più avanguardistico nelle sue forme, e approfondito nel suo senso.
Studiato e rinnovato da Erich Fromm alla luce di una mistica “illuminata” dall’immanenza di Dio in tutte le cose, a cominciare dall’uomo che deve tradurlo dentro di sé, “nel proprio essere”, queste le parole del teologo tedesco vissuto tra Turingia, in particolare Erfurt e Colonia. La sua formazione è cominciata appunto in Turingia dove è nato nel 1260 e poi a Erfurt presso i domenicani, mentre a Colonia si trasferì presso lo studium generale dell’ordine; dopo il primo incarico presso Parigi diviene priore a Erfurt e dal 1303 al 1311, ha l’incarico di governatore dell’ordine per tutta la Germania del Nord. A Strasburgo e poi a Colonia, trascorre gli ultimi anni, e proprio in quest’ultima città si aprirà il processo contro di lui nel 1326, quando Eckhart aveva già 56 anni, e condannato nel 1329 con la bolla papale In agro dominico, giunta postuma (Eckhart muore l’anno prima).
Oltre al latino, la lingua che adoperò Eckhart fu il dialetto medio-alto tedesco medievale, in cui furono redatte e copiate le opere da anonimi amanuensi, soprattutto le prediche, che vennero conservate intatte dai suoi numerosi estimatori e che oggi, sia la filosofia – in particolare il versante heideggeriano – sia la psicologia, hanno fortemente rivalutato. La Chiesa, sia quella cattolica sia quella protestante, è rimasta alla lista di proposizioni eckhartiane contro cui si scagliò Enrico II di Virneburg per conto della Santa Inquisizione, mentre i suoi discepoli, da Taulero a Suso, e poi Niccolò Cusano e Silesio, come anche Lutero, diffusero invece il verbo del più glorioso dei mistici tedeschi, che lo apparenta certamente alla filosofia idealistica attraverso un rapporto puramente dialettico con Dio, assolutamente all’avanguardia per il Medioevo.
Dio infatti, si conosce solo a prescindere da un rapporto con il proprio io, per superarlo: il vuoto dentro di sé permette a Dio di entrare e di “essere” quell’essere dentro di sé, senza alcuna mediazione, attraverso la liberazione dalla volontà personale, e l’uomo, così libero da sé, diventa solo spirito, ossia nobile. Ed è così che a pag. 49 troveremo, nella proposizione “In occisione gladii mortui sunt” (Furono uccisi di spada, Ebrei 11, 37): “San Gregorio dice che nessuno può davvero possedere Dio se non è completamente morto a questo mondo” (Morali in Iob, XVIII c. 54 n.89). Il tema della morte mistica è seguito da un’affermazione forse riferita ad Alberto Magno e che spiega molto della sostanza della proposizione eckhartiana: “La natura non distrugge nulla senza dare qualcosa di migliore (…) Hanno perduto una vita e trovano un essere.”. Ciò che segue riafferma quanto Eckhart abbia una congiunzione visionaria con Dio e così dice: “La ragione è il nostro toccare il tempo. Ciò che tocca il tempo è mortale. (…) Nel suo movimento il cielo è eterno, ignora il tempo. “ (p.52) L’essere che scopre di “essere Dio”, vivendo la vita dello spirito, rivela e libera la luce eterna dentro di sé: quello che Dio è per sua natura, l’uomo lo è per sua grazia, è attraverso questa compenetrazione che nasce l’Uno ed è a questo punto che: “Agire e divenire sono una cosa sola”. (p.43). (Livia Bidoli) fonte: gothic netwiork
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