Il quadro che si apre ai nostri occhi è profondamente suggestivo. L’aramaico, la lingua in cui il testo è scritto a richiamare la parlata delle genti di Palestina dei primi secoli della nostra era, ne accresce il vigore e la solennità. Il testo classico della Cabbalà è lo Zohar, il “libro dello splendore”, per secoli considerato sacro all’ebraismo ed ancor oggi venerato nei circoli mistici, al pari della Bibbia e del Talmud. Attribuito dai cabbalisti a Rabbì Shim’on bar Yochai, celebre dottore della Mishnà, è ambientato nella Palestina della seconda metà del secondo secolo dell’era volgare.
I protagonisti del libro sono lo stesso Shim’on, suo figlio El’azar ed un gruppo di amici e di scolari, che dissertano sul problema dell’uomo e di Dio, partendo all’interpretazione mistica dei versetti della Bibbia. Il discorso che ne scaturisce non è organico, ma si sviluppa in maniera asistematica, risolvendosi in una molteplicità di omelie dai temi più disparati e spesso prolisse, Le intuizioni emergono quindi con diversa intesità, accavallandosi, ripetendosi e congiungendosi in mille combinazioni differenti.