Severino sulla soglia di questo suo nuovo libro scrive: «Per quanto grandi siano le speranze e le supposizioni umane, esse si accontentano di poco, rispetto a ciò da cui l'uomo è atteso dopo la morte e a cui è necessario che egli pervenga».
Nel proseguire, con mirabile rigore speculativo, quel percorso filosofico che dalla Struttura originaria a Essenza del nichilismo, da Destino della necessità, attraverso La Gloria, è approdato a Oltrepassare, Severino procede qui risolvendo un problema decisivo, lasciato ancora aperto: se «la terra isolata dal destino è oltrepassata dalla terra che salva e dalla Gloria», nondimeno su «“questa nostra vita” – si potrebbe dire – incombe la morte, e continuamente vi irrompe».
Sorge quindi un interrogativo ineludibile: «L'attesa della terra che salva continua anche dopo la morte (e che cosa appare in questo prolungarsi dell'attesa? sonno, sogni. Incubi?), oppure con la morte ha compimento anche l'attesa?». Sono i «temi» più antichi ed essenziali dell'uomo – il cristianesimo li chiama i «novissimi» –, che però Severino sviluppa in una dimensione radicalmente diversa da quella in cui si sono costituiti, poiché in lui ogni «tema» si presenta come lo sviluppo della struttura originaria del destino della verità.
Nell'architettura del grandioso edificio teoretico che il filosofo è andato solitariamente costruendo nel corso degli anni, La morte e la terra appare dunque un vertice dal quale lo sguardo si spinge oltre ogni confine, giacché Severino non teme di consegnare risposte definitive: «Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi all'Immenso della terra che salva e della Gioia».