Gli animali hanno certamente un'anima: se per questa intendiamo la parte incorporea dell'essere, sede della sensibilità, del giudizio e della volontà, fonte dei pensieri, dei desideri e delle passioni, ma anche il coraggio, i sentimenti nobili, gli istinti generosi di un essere considerato dal punto di vista morale.
Se per anima intendiamo un'entità immateriale, ma pur tuttavia sottile e sostanziale, che si separa dal corpo nel momento della morte; se per anima s'intende una copia conforma dell'essere, che riproduce fedelmente ciò che egli fu nella sua vita e che gli consente di continuare a vivere in un altro mondo, ebbene sì, gli animali hanno un'anima.
L'Autore considera in quest'opera unicamente i vertebrati superiori, in particolare i mammiferi, che sono per la loro sensibilità e per i loro comportamenti i più vicini all'uomo. Per tutti i popoli dell'antichità, dagli Egiziani ai Greci, dai Persiani agli Indiani, fino all'antica Roma, il fatto che gli animali abbiano un'anima, era un principio scontato e acquisito.
Gli stessi termini anima e animale hanno, etimologicamente, una radice comune; e il filosofo Anassagora affermava. "L'anima dell'uomo e quella degli animali, provenienti entrambe dall'Anima del Mondo, hanno ripreso la natura della loro sorgente, cioè sono di natura divina", mentre per Aristotele gli animali erano dotati di un'anima "sensitiva".
Ma, indipendentemente dalle implicazioni filosofiche, l'Autore dimostra, soprattutto attraverso i numerosissimi esempi e traendola dai loro comportamenti, l'intelligenza e la sensibilità di questi esseri che sono appena un gradino al di sotto della specie umana e che comunque appartegono al miracolo unico della creazione divina. Il dossier che egli ci presenta non lascia più alcun dubbio: sì, gli animali hanno un'anima.