Così Titus Burckhardt spiega come nell'alchimia: "le due forze raffigurate sotto forma di serpenti o di draghi sono il sulphur e il mercurio, il loro modello macrocosmico consiste nei due movimenti crescenti e diminuentei descritti dall'orbita solare, separati dai solstizi d'estate e d'inverno."
Da un'osservazione di questo genere si può estrapolare, basandosi su testi classici - basterà ricordare per tutti l'Oeuvre secrete de la philosophie d'Hermes di Jean D'Espagnet - come la qualificazione e le coordinate intellettuali, ma anche e soprattutto religiose e sacrali dell'alchimia, si basino sulla qualificazione sacra della materia, basata però su una precedente quantificazione sperimentale.
La cosmologia alchemica è quindi sempre sottomessa ad un'osservazione naturalistica la cui base è la ricerca di un'esperienza ottimale di composizione, di scioglimento e ricomposizione della materia. Chi scrive ricorda nella sua nota postfattiva come si tratti di conoscere con accurata osservazione le modalità della materia e di capire in che maniera si possa spiegare la diversità apparente delle manifestazioni da un unico bipolare principio o da una quaternità di tipo aristotelico.
Il termine "spagiria" attribuito da molti a Paracelso e comunque d'origine secentesca, riconduce l'alchimia alle sue origini prefigurandola prima della fable e connotandola come una conoscenza che non quantifica "intellettualmente" le note della propria osservazione, ma avverte l'invisibile - si badi non ineffabile - enigmadella quantità trasformarsi in qualità.
Le origini più antiche dell'alchimia si ripropongono nella spagiria, offrendo una koinè quanto più possibile desimbolizzata e nello stesso tempo costantemente metaforica. Il testo di Le Breton, finora mai pubblicato in italiano, si presenta ora in questa collana nella traduzione di Augusto Pancaldi e risulta essere uno specchio fedele ed esaustivo delle modalità spagiriche.