La nostra ricchezza brulica di vermi, vive di decomposizione, puzza di escrementi, ha colori cupi degli strati di marciume. Non è la metafora di un predicatore millenarista, bensì la letterale dichiarazione d'amore di un arboricoltore al terriccio, o meglio alla sua parte organica – humus, compost – senza la quale non potremmo sopravvivere.
Quell'umile ammasso di materia pulsante, troppo giovane per interessare i geologi, emoziona William Bryant Logan. In tono brioso e competente egli ci invita a seguirlo nella sua avventurosa esplorazione di sedimenti, buche, praterie, coltivi e discariche.
Lo scopo è familiarizzarci con qualcosa che abbiamo da sempre sotto i piedi e di cui ignoriamo il fragile equilibrio e le infinite virtù, avendo perso perfino il ricordo di pratiche ancestrali come l'assaggio della terra da parte dei contadini, noto dai tempi di Virgilio, o la misurazione di una dote in base al peso del letame prodotto dalla fattoria paterna, per non dire del culto egizio dello scarabeo stercorario. Impariamo a conoscere il grande ciclo vitale della terra presente in superficie e apprenderemo anche l'arte di guarirla.