Anche nel 2010, gli ecomafiosi hanno sversato tonnellate di veleni in terreni che un tempo erano fertili, o li hanno occultati in cantieri di quelli che sarebbero potuti divenire quartieri modello, e invece si sono trasformati in incubi per chi li abita. Nei casi in cui non è possibile seppellirli, gli si dà fuoco, magari usando pneumatici smaltiti illegalmente come base per la pira: nella “Terra dei fuochi” in Campania non si arretra nemmeno di fronte alle nuvole di diossina.
La seconda area di business per le ecomafie risulta essere il cemento, come confermato anche dall’edizione 2011 del rapporto Ecomafia. E poco importa se dopo un temporale interi quartieri vengono sommersi da colate di fango: l’importante è costruire e guadagnare in fretta, risparmiando anche sulla qualità del cemento e sulla sicurezza degli operai.
L’attività degli ecomafiosi è sempre più proiettata su una dimensione globale, con Cina e Africa in cima alla lista dei paesi in cui vengono smaltiti rifiuti di ogni tipo, con una preferenza per quelli tecnologici.
Le organizzazioni criminali esercitano un controllo capillare sul territorio e non si lasciano sfuggire nessuna occasione di guadagno estendendosi anche verso il comparto delle energie da fonti rinnovabili.